Basilica di Sant'Ambrogio

Piazza Sant'Ambrogio, 29. (Apri Mappa)
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Descrizione

Cuore di storia e spiritualità, scrigno d’arte sacra, la Basilica di Sant’Ambrogio rappresenta insieme al Duomo il fulcro della vita spirituale di Milano.
Una grande devozione popolare ruota intorno alla basilica, da sempre meta di pellegrinaggi e di visitatori.
Il suo ingresso, il magnifico quadriportico composto da colonne con capitelli lavorati a rilievo, prepara all’atmosfera raccolta, tipica della chiesa.
Di fronte a noi la facciata “a capanna”, aperta da due loggiati sovrapposti che si congiungono con l’interno del portico e inquadrata in alto dai due campanili, dei Canonici (a sinistra, del 1141) e dei Monaci (a destra, del 842).
Oggi, la Basilica, dedicata al vescovo di Milano, è un magnifico esempio d’architettura romanica lombarda.
Costruita tra il 379 e il 386 era in origine chiamata “Basilica Martyrum” per volere di Sant’Ambrogio. Sorta al centro di una vasta area (Hortus Philipphi) riservata a sepolture cristiane e caratterizzata dalla presenza di piccole celle in memoria dei martiri, la basilica, dedicata ai martiri Gervasio e Protasio, era inizialmente destinata ad accogliere la tomba del fondatore.
L'antico edificio, di cui conosciamo la sola pianta, è stato ampiamente modificato a partire dal IX secolo. La basilica si compone di tre navate, due laterali ed una centrale; il soffitto è costituito da volte a crociera a costoloni e da pilastri che conferiscono slancio e armonia. Se non molto resta in Sant’Ambrogio della originaria basilica Martyrum, sono però rimaste preziose testimonianze dell’epoca. Tra queste, il raffinato “sarcofago di Stilicone”, attribuito dalla tradizione al generale di Teodosio ma probabilmente commissionato da un personaggio di alto rango legato alla corte milanese. Della decorazione delle pareti interne rimangono alcune tarsie marmoree policrome e una transenna marmorea, appartenente probabilmente alla recinzione dell’altare dei santi martiri, recante il cristogramma con l’alfa e l’omega. Eccezionalmente si sono conservati due pregiatissimi pannelli in legno scolpito della porta d'ingresso commissionata da Ambrogio.
Un percorso tra arte e storia ci accompagna lungo le navate laterali con numerose e preziose decorazioni sulle volte.
Ma lo sguardo corre subito al fulcro della basilica: il ciborio, un baldacchino ornato da stucchi lombardo bizantini, un elegante luogo sostenuto da quattro colonne romane che racchiude e custodisce il capolavoro dell’arte carolingia (unico esemplare conservato in metalli nobili): l’Altare d’Oro. La storia ci racconta che probabilmente nel IX secolo il vescovo Angilberto abbia traslato i resti dei vescovi in un sarcofago di porfido poi ricoperto dal prezioso Altare, detto anche di Vuolvinio, autore della magnifica opera. Sul fronte anteriore narra gli episodi della vita di Cristo e sul retro, la vita di Sant’Ambrogio.
Anche questa trasformazione tuttavia non è definitiva. La successiva costruzione della cripta nel X secolo, con il rialzo pavimentale del coro, porta altri cambiamenti. Attualmente i resti di Gervasio, Protasio e Ambrogio sono collocati in un’urna d’argento posta sotto l’altare.
San Vittore in Ciel d’Oro
Il piccolo ambiente a pianta trapezoidale, collegato al nome di Satiro da un epitaffio giunto in una trascrizione del IX secolo, era in origine indipendente dalla basilica, chiuso da un’abside e fornito di cripta. Secondo la tradizione, il sacello sarebbe tuttavia da interpretarsi come la monumentalizzazione di un precedente recinto murario o di una cella memoriae, tomba originaria di San Vittore e di Satiro. Gli scavi nell’area delle presunte sepolture hanno rivelato nella cripta del sacello un sarcofago di ambito milanese del IV secolo, contenente i resti di più corpi, forse le reliquie di San Vittore e di Satiro, traslate nel IX secolo; niente però conferma questa ipotesi, come niente documenta che i loculi rinvenuti nella stessa cripta abbiano mai ospitato i corpi.
L'opera prende il nome dalle tessere dorate della volta e comprende la più antica raffigurazione conosciuta del vescovo Ambrogio, il cui volto è rappresentato con impressionante realismo, nonostante la tecnica del mosaico. Sono splendide le rappresentazioni che decorano gli ambienti nel Sacello della Basilica di Sant'Ambrogio: ritratti di Gervasio, Protasio e, a destra, Materno tra Nabore e Felice. Nella parte più alta della cupola è raffigurato con tessere d’oro il busto di San Vittore: sul suo capo la corona gemmata propria dei martiri. La decorazione musiva del sacello costituisce una delle poche testimonianze rimaste dell'uso di mosaici volti ad abbellire di "lumina vitae" (luci vive) le grandi basiliche, frequente nella Milano del V secolo Nella cripta si conserva anche un sarcofago pagano romano della fine del III secolo, appartenuto a un centurione e poi riutilizzato per una sepoltura cristiana.
Le urne raccolgono resti di ossa provenienti dall’area della vicina necropoli tardoantica e frammenti di lastre con iscrizioni, come l'epitaffio di Manlia Daedalia (IV secolo), compagna di Marcellina, sorella di Ambrogio. L'altare è costituito da una transenna in marmo con decorazione a intrecci databile al IX secolo e proveniente dalla basilica.
Il sacello, ormai trasformato in basilichetta dedicata a San Satiro, fu inglobato nel complesso della basilica solo nel 400. L’aspetto attuale è dovuto ai restauri ottocenteschi, ma l’ultimo intervento sui mosaici risale agli anni 1981-1989.

Sant’Ambrogio era stato inviato a Milano come prefetto del Nord Italia, e per il suo incarico ha quindi dovuto mediare alla discordia per la nomina del nuovo vescovo. Fu allora che il popolo, dopo avere ascoltato i suoi discorsi sulla pace e sul bene della nazione, lo scelse come nuovo rappresentante della Chiesa di Milano. Ambrogio, in un primo momento, non voleva accettare, ma spinto dallo stesso Imperatore fu convinto a diventare vescovo.

Nella navata centrale, in cima ad una colonna in porfido d’Elba, è posizionato un serpente di bronzo dal corpo sinuoso. Secondo la leggenda si tratterebbe del serpente forgiato da Mosè nel deserto per difendere il suo popolo dai morsi di questo rettile. Infatti chiunque fosse stato morso avrebbe avuto salva la vita guardando il serpente di metallo.
Come il serpente sia arrivato nella basilica di Sant'Ambrogio è ancora più leggendario. Intorno all’anno 1000, Arnolfo, arcivescovo di Milano, si recò a Costantinopoli per condurre dall’Imperatore Ottone III la sua promessa sposa bizantina. La missione fallì in quanto l’imperatore morì prima di vedere la sua sposa. La principessa fu rimpatriata, ma il serpente di bronzo, che era uno dei doni di nozze, rimase a Milano.
Appena collocato nella basilica di Sant'Ambrogio, i milanesi lo considerarono un oggetto magico con proprietà taumaturgiche capace di guarire le malattie intestinali e i vermi.
La leggenda riserva ancora altre sorprese: narra che il giorno del giudizio universale il serpente prenderà vita, scenderà dalla colonna e ritornerà alla Valle di Josafat dove le mani di Mosè lo forgiarono.